Ok il prezzo (non) è giusto

Dei motivi per partire, del patriottismo obsoleto
e dell’anti-patriottismo forzato

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Sto per trasferirmi all’estero. Forse per sempre. Ma prima di spiegare i motivi che mi stanno portando lontano, voglio costruire questa semplice metafora tra il serio e il faceto: tutti noi siamo concorrenti di un quiz anni ’80.

Credo di poter affermare che sia stato uno dei giochi a premi che maggiormente ci è rimasto impresso, per particolarità, folklore, colore, scenografia, filosofia. Perché perfino una Zanicchi kitch e mal vestita non ha intaccato lo spirito intrinseco che permeava, secondo me, Ok il prezzo è giusto.  Il programma che nessuno, e ripeto nessuno, può dire in tutta sincerità di odiare. È un po’ come Max Pezzali: lo ricordi con tenue affetto, mentre porti avanti la tua vita in modi decisamente più produttivi.

Il messaggio essenziale su cui si ergeva il quiz era: tutto ha un prezzo, e va bene, lo sappiamo. Ma qual è il giusto prezzo delle cose?

A questa domanda, non so rispondere in modo assoluto, forse perché non esiste tale perentoria risposta. Posso solo identificare quelle volte in cui certamente il prezzo era ingiusto. Tutte le volte in cui mi sono sentita umiliata, in cui ho pianto perché pensavo fosse colpa mia se non andava niente bene. Quelle volte, tante, in cui nonostante tutto l’impegno e i complimenti ricevuti per l’ottimo lavoro, un ‘arrivederci alla prossima’ significava soltanto ‘per te non c’è posto se non in piedi, in un angolo, a brevi periodi’. Quelle volte in cui ho pensato Maledetta Italia di merda. Ovvero il pensiero più gettonato nella penisola stivalesca da 150 anni.

Non credo nel patriottismo fine a se stesso, addirittura forzato. La mia cittadinanza italiana mi è stata assegnata per ius sanguinis, non certo per mia precisa volontà di difendere e combattere per questa nazione. Certo, posso dire di aver fatto del mio meglio, di aver fatto quanto in mio potere per non contribuire alla sua umiliazione. Ho pensato continuamente ad aprire una mia attività, a trovare nella difficoltà la strada più interessante, forte, combattiva. Come al solito, però, mille ostacoli, mille problemi, e ho rinunciato, così tante volte che non le so contare. In pratica: chi me lo fa fare a cambiare un Paese così? La gloria postuma? Io – perdonate il paragone – sono il contrario del Batman di Nolan: sono l’eroe di cui questo Paese ha bisogno, ma non quello che si merita. 

Ma la verità è che non sono un’eroina, non mi sono mai attribuita questa ingrata responsabilità di salvare né il mondo né la nazione né il mio quartiere.  Sarò strana, ma sono una persona normale. Non voglio essere costretta a dare un’inclinazione programmatica ad ogni mio gesto: non sto indicando la via della salvezza a nessuno, non sto scrivendo un personale Bushido da divulgare ad aspiranti discepoli. Faccio solo quello che è più giusto per me, ma siccome siamo un popolo in deficit di soddisfazione, io e quelli che fanno la mia stessa scelta veniamo accusati di scegliere la via più facile. Davvero? Trasferirsi un altro Paese, raggiungere uno standard linguistico alto e saperlo mantenere, imparare tutte le leggi da zero, come se non avessi mai lavorato o vissuto, adattarsi e integrarsi in contesti nuovi e magari non sempre facili? Questa è una scelta di comodo? Dovete essere abbastanza sadomasochisti per affermarlo.

Il trend attuale è la strenua difesa del “coraggioso che resta“, che è un po’ il Milite Ignoto a cui aggrapparsi per screditare chi cerca lavoro altrove. Bisogna però stare molto attenti a distinguere il samaritano dal fariseo, l’italiano che resta perché vuole da quello che resta perché deve. Deve perché non ha abbastanza risorse per trasferirsi, perché la moglie ha già il posto fisso, perché poi come si fa coi bambini. Deve.
Mentre intrecciate corone d’alloro per i primi, lasciate perdere gli altri. Lasciateli stare e soprattutto non li inondate di stelle filante per celebrare quanto sia lodevole la loro scelta. Li deprimereste soltanto, facendoli diventare ancora più improduttivi di quanto già non siano. L’italiano che resta perché deve è una zavorra per il suo Paese, non perché non lavori (in genere sono occupati), ma perché spera disperatamente che gli sia concessa l’amnistia e possa scappare chissà dove.

Allo stesso tempo, però, ritengo ancor più stupido e inutile l’anti-patriottismo per presa di posizione: ah, all’estero è tutto meglio, è tutto più facile, è tutto più giusto, è tutto più bello, è tutto più giallo… E poi sono gli stessi che si lamentano che è “difficile instaurare rapporti con le persone” (non sarà che non parli bene la lingua? E poi: con quanti stranieri hai “buoni rapporti” in Italia? Tu, per primo, lo hai fatto quando eri dall’altra parte?), che “il clima fa schifo e non si vede mai un raggio di sole” (nessuno ti ha obbligato ad andare proprio a Londra o ad Oslo; potevi sempre emigrare a Tenerife). Stupido da dirsi, ma anche gli altri paesi del mondo hanno problemi e difetti e niente è come sembra.

In fondo l’Italia non è né il meglio né il peggio, e forse è proprio per questo che ce ne stiamo andando: perché è in stallo.

Io non mando a fanculo l’Italia in sé. Io mando a fanculo tutte le persone che mi hanno peggiorato la vita rendendomela difficile, fastidiosa, a tratti insopportabile. E il fatto che questi individui si collochino nel fazzoletto di terra compreso tra Bolzano e Lampedusa rende solo più facile lasciarseli alle spalle e mandarli a quel paese tutti in un colpo solo. Come avere un megafono potentissimo e urlare un invito accorato che viene percepito in diretta da tutti contemporaneamente.

Ecco un elenco non esaustivo di chi mi ha spinto a partire:

  • coloro che mi insultano ritenendo la mia laurea una merda;
  • coloro che mi insultano ritenendo il mio lavoro una merda;
  • coloro che mi insultano ritenendo il mio lavoro una merda e quando gli serve, vogliono pagarmi pochissimo perché “in fondo non è un lavoro difficile”;
  • coloro che ritengono che 400€ lordi per un tempo pieno sia uno stipendio normale e/o dignitoso;
  • coloro che, alla mia rimostranza sullo stipendio, mi rispondono che “è molto formativo”;
  • coloro che, quando mi concedono: “Dimmi tu una cifra” e io faccio il calcolo più onesto e ragionevole possibile, replicano: “E non puoi farlo per [meno della metà di suddetta cifra]?”;
  • coloro che quando, giustamente, io declino l’offerta allettante mi rispondono che “non troverai mai lavoro se non ti sai adattare” (= se non ti fai sfruttare);
  • coloro che condividono questa posizione e si fanno sfruttare;
  • coloro che non sanno minimamente fare il mio lavoro, ma la loro situazione è a tempo indeterminato;
  • coloro che vogliono tutto subito, bene e a poco, ignorando il principio di triangolazione delle commissioni: 1) subito + bene = costoso; 2) subito + poco = male; 3) poco + bene = lento;
  • coloro che “Ah ma per questa cosa vorresti un extra? E io credevo che potessi aggiungere qualsiasi cosa nell’universo al progetto pattuito e mantenere la stessa cifra! Non è corretto da parte tua.”;
  • [i miei preferiti] coloro che “Non ti pago un cent e voglio il tuo impegno per questo progetto a 360°, 24/7. Perché possiamo crescere insieme!“;
  • coloro che “Sei una stronza, ci lasci solo perché non ti paghiamo, mentre resti con loro solo perché ti pagano. È veramente ignobile da parte tua.”;
  • il Ministero per i Beni, le Attività Culturali e il Turismo delle fregature che prima fa un bando per scegliere i migliori laureati italiani pagandoli 400€ al mese, poi lo annulla per selezionare i dottorati da pagare 1000€ per poi alla fine rifarsi su migliaia di volontari da pagare 400€. Tutti senza prospettive;
  • il Ministero della Pubblica Istruzione, Università e Ricerca dell’anima de li mortacci loro, i cui pagamenti seguono il moto di rivoluzione attorno al Sole di Nettuno (1 anno = 60.223,3528 giorni);
  • i teatri, le compagnie e i festival  che non assumono personale nuovo;
  • i teatri, le compagnie e i festival che ti fanno pensare: “Ma possibile che qui ci lavorino solo giovani, ma non escano mai annunci di lavoro?”;
  • i teatri, le compagnie e i festival che ti fanno pensare: “Ma che santo devo conoscere per fare un colloquio?”;
  • i festival organizzati da volontari con spettacoli a pagamento, in cui le compagnie si esibiscono grazie alla tassa d’iscrizione, ma senza compensi. Il concetto di far girare l’economia e favorire l’occupazione;
  • coloro che “il teatro è noioso, meglio il cinema”, ma il film lo scaricano;
  • coloro che “il teatro è noioso, meglio la musica”, ma non vanno mai ad un concerto (e la musica la scaricano);
  • coloro che, in fondo (e neanche troppo), pensano che me lo meriti di non avere un lavoro stabile o pagato bene perché non ho studiato al M.I.F.E. (Medicina Ingegneria Farmacia Economia). E quindi per definizione, sono una cretina.

Purtroppo devo deludere tutte queste categorie perché tutte le loro puntate non si sono avvicinate minimamente al prezzo di listino. Sarò io a dire quando il prezzo è giusto. Fino ad allora andrò avanti a cercare, se non un sogno, almeno la serenità.

100! 100! 100! …

3 pensieri su “Ok il prezzo (non) è giusto

  1. E allora uno stra-in bocca al lupo. Ovunque tu vada, qualunque sia la tua destinazione. Sarà comunque un successo, perchè scoprirai un mondo nuovo. Non sarà facile, come bene hai descritto tu, ma ti aiuterà a diventare una persona.
    Tienici aggiornati!

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  2. Pingback: Ok il prezzo (non) è giusto (dal blog Magnitudo apparente) – Pensieri strani…eri

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